Al termine di un anno in cui ho letto oltre 40 libri di cui la maggior parte mi è piaciuta, fare un bilancio dei più belli e tirare le somme è stato particolarmente complicato.
Visto che però è una domanda che mi viene rivolta spesso e sui social l’idea delle classifiche piace sempre molto, eccomi qui nel tentativo di “eleggere” i 5 libri più belli che ho letto nel 2020.
Sulla base di cosa è stata fatta la scelta? Fondamentalmente, a sentimento. Ossia, nella maggior parte dei casi (3 su 5) ho scelto libri che mi sono arrivati in pancia come un pugno, che hanno avuto un particolare peso, impatto e significato nel mio anno.
Gli altri 2 sono romanzi delle mie due attuali scrittrici preferite (Sally Rooney da una parte, Tiffany McDaniel dall’altra) e dunque avranno sempre un posto in questa classifica finché continueranno a scrivere nel modo in cui scrivono.
E quindi non indugiamo oltre, vediamo cosa ho scelto!
Mal di casa (Catrina Davies, Blu Atlantide)
Ho scambiato frigoriferi e termosifoni con la libertà, e sebbene il mio stile di vita mi abbia posto delle sfide, sono arrivata alla conclusione che la libertà valga qualsiasi privazione materiale.
La trama
All’età di di trentuno anni, l’artista inglese Catrina Davies si trova a condividere un appartamento a Bristol con altre cinque persone faticando ogni mese per pagare l’affitto della sua minuscola stanza. Tra lavori occasionali, progetti creativi per cui non trova il tempo perché troppo occupata a sbarcare il lunario e la preoccupazione costante di non riuscire più a permettersi un posto dove vivere, la sua vita sembra essere arrivata a un punto morto.
Fino al giorno in cui non decide di fare ritorno nella sua regione, la Cornovaglia, con un piano: sistemarsi nel piccolo capanno abbandonato che il padre usava come ufficio prima di chiudere la propria attività per fallimento e renderlo casa sua.
Malgrado le molte difficoltà (il capanno è davvero malridotto e a rigor di legge non potrebbe comunque essere abitato), la sua vita da quel momento cambia del tutto: Catrina ha finalmente il tempo di scrivere e comporre musica (e fare surf), ma soprattutto, giorno dopo giorno, recupera il senso stesso di sé, scoprendo, o meglio riscoprendo, appena a un passo dalla civiltà dei consumi, del successo e della autoaffermazione, un’esistenza fatta di natura, boschi, mare – più dura e selvaggia certo, ma anche più intensa, libera, giusta.
“Mal di casa” è la storia vera di una crisi personale e di un mondo intero, quello della nostra contemporaneità, dei mutui, di esosi affitti da pagare e case vacanza, e una riflessione sulla disuguaglianza sociale e sui nostri modelli di vita.
Le mie impressioni
Già mentre leggevo questo libro la scorsa estate, sentivo un malessere nascermi dentro: “anch’io la penso così”, “mi sento esattamente così”.
E da quel momento “Mal di casa” è rimasto nella mia testa, sotto pelle, nella pancia, ovunque intorno a me, come un tarlo.
Ho capito che condividevo gran parte dei disagi dell’autrice dello “stare nella società” senza neanche saperlo, o senza aver mai saputo dare una forma concreta a quei pensieri.
Da quel momento per me è cambiato tutto: ho capito di dover cambiare ciò che era in mio potere cambiare, anche a costo di fare delle scelte radicali: certo, non potevo andare a vivere in un capanno come ha fatto lei, ma almeno potevo cercare di allontanarmi da ciò che mi faceva stare male e avvicinarmi a ciò che mi faceva stare bene.
Qualche mese dopo me ne sono andata da Roma e ora vivo nella mia casetta vista lago in provincia. Direi che ho molto di cui essere grata a questo libro e per questo si guadagna il primo posto nella mia classifica.
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Parlarne tra amici (Sally Rooney, Einaudi)
Non mi ha chiamata il giorno dopo, né quello dopo ancora. Non mi ha chiamata nessuno. Progressivamente l’attesa ha iniziato a sembrare meno un’attesa e più come se la vita altro non era che questo: il diversivo delle incombenze da assolvere mentre la cosa che aspetti continua a non succedere.
La trama
Frances ha ventun anni e ha costruito un muro fatto di intelligenza, autocontrollo e freddezza per arginare il mare delle sue insicurezze. L’insicurezza per un corpo che non le piace e che è pronta a ferire pur di metterlo a tacere; l’insicurezza per una famiglia troppo povera e ignorante per il mondo in cui la figlia ha deciso di vivere; l’insicurezza per la sua stessa intelligenza che per quanto brillante, seducente e incline al sarcasmo, non lo sarà mai come quella di Bobbi.
Ecco, Bobbi: la sua amica, compagna di studi e di passioni (insieme scrivono e recitano poesie in una Dublino mai così bohémienne e sensuale), e suo primo amore. Anche adesso, quando dopo essere state amanti imparano a essere amiche, Bobbi agli occhi di Frances sembra sempre la versione migliore di lei: più bella, più cool, più trasgressiva, più impegnata, più lesbica, più ricca.
Eppure, quando le due ragazze conoscono una coppia sposata più grande di loro, sarà su Frances e non su Bobbi che poserà gli occhi Nick – un attore in crisi ma decisamente bello. E Melissa, la moglie di Nick, cosa ci trova in Bobbi? E più attratta dal suo esibito disprezzo per i borghesi (come Melissa stessa) o dalla sua distratta e selvaggia sensualità?
Man mano che i legami si intrecciano e le relazioni si saldano, dal vivo o online, i quattro protagonisti di questa storia discutono insieme di sesso e amicizia, di arte e letteratura, di politica e genere, e ovviamente di loro stessi.
Ma il centro di tutto è lei, Frances: il suo acume e la sua ingenuità, il suo desiderio, le sue debolezze, il suo amore ne fanno un personaggio femminile autentico, il ritratto struggente, malinconico, profondissimo di una generazione e il simbolo di questi tempi inquieti.
Le mie impressioni
Se c’è una cosa che odio profondamente in uno scrittore/una scrittrice, è la retorica. In un modo o nell’altro ci cadono sempre tutti, che sia qualche frase fatta, che sia un aggettivo pomposo di troppo.
Ecco perché amo così follemente Sally Rooney: nella sua scrittura non c’è traccia di retorica, frasi fatte, aggettivi sfarzosi, frasi autocompiaciute. Tutto è estremamente semplice e lineare, normale.
Evviva, evviva, è proprio ciò che piace a me: a mio avviso per saper scrivere in questo modo si deve essere di gran lunga più bravi di qualsiasi scrittore/scrittrice nella media.
E di cosa parla Sally Rooney? Di normalità, di relazioni contemporanee, dei millennials, dei social, della vita vera, insomma.
Leggere i suoi libri è come avvolgermi in una coperta calda con un tè in mano e fare quattro chiacchiere con un’amica: le storie che racconta sono le mie storie, sono le storie di chi oggi ha trent’anni, e finalmente qualcuno ha trovato le parole giuste per raccontarle.
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Sul lato selvaggio (Tiffany McDaniel, Edizioni di Atlantide)
Avrei dovuto sapere che non sarei diventata migliore delle donne che mi avevano cresciuta, perché avevo un debito che le donne della mia famiglia stavano già pagando da generazioni. Un debito che tutte noi sembravamo costrette a saldare in dolore e vulnerabilità.
La trama
Daffy e Arc sono gemelle, figlie di due genitori tossici e nipoti di una nonna che stravede per loro e che rappresenta la loro unica fonte di cura e amore materno.
Fin dalla più tenera età le due bambine crescono in una situazione di enorme disagio: in mezzo alla droga, alla sporcizia, alla violenza, al degrado più totale.
Proprio per questo si fanno forza a vicenda e trovano il loro unico appiglio nel loro rapporto di sorelle, cercando di uscire, almeno con la fantasia, da quel mondo crudele che scorre indifferente anche davanti ai loro bisogni più essenziali.
Una storia di violenza, di degrado, di tossicodipendenza che pone grandi domande sull’ineluttabilità del destino.
“Sul lato selvaggio” prende lo spunto da un fatto realmente accaduto: una serie di sparizioni e delitti femminili insoluti avvenuti a Chillicothe, Ohio. Alle donne assassinate, prostitute, povera gente, donne che si barcamenavano in un’esistenza difficile, è dedicato il libro.
Crudissimo, profondissimo, potentissimo, bellissimo, con un colpo di scena finale sconvolgente(issino). Tutto -issimo.
Le mie impressioni
I libri di Tiffany McDaniel sono talmente densi di fatti, temi e sentimenti che per me parlarne risulta sempre complicato.
Non so raccontarli a parole eppure mi lasciano sempre addosso una sensazione nettissima e densa, che mi si incolla dentro e non se ne va più.
La prima parola che mi viene in mente è dolore: tutti i suoi libri sono dolorosi e questo non fa eccezione. Eppure trovo proprio che in questo dolore ci sia la verità della grande letteratura e il senso ultimo della scrittura.
Questo libro è una storia potente, profonda e sorprendente che ti scuote dentro, e dunque non poteva che essere in questa classifica!
Cagna (Louise Chennevière, Giulio Perrone Editore)
Perché sei una donna, tu. E non è il rosa, non è la maniera in cui ti apri in un sorriso, non sono le gonne che porti, non è il mascara sulle ciglia né il fard sugli zigomi, non è la luce nello sguardo come all’alba della prima notte, non è questa tenerezza, non è questa mano che ti passi tra i capelli, non sono i seni come teneri cerbiatti, e i tuoi denti come un gregge di pecore, piccoli gioielli luccicanti, e i sorrisi accoglienti, non sono le tue curve perfette e la tua nudità da rivista patinata, è piuttosto, credo, tutto ciò che nascondi. Tutto ciò che non devi mostrare, tutto ciò che ti è stato tolto, anzitempo, dal tuo apparire e dal mondo così come va.
La trama
Una donna parla. Accusa. Racconta. Si appropria delle voci di più donne. Ogni voce è un istante strappato all’intimità, salvato dal silenzio, quel silenzio che è la storia delle donne.
Questo testo è un tentativo di impadronirsi del diritto di espressione da parte di chi ne è sempre stato escluso, vittima di immensa violenza e indicibile dolore. E come quest’intimità, il corpo e la vergogna fanno già parte del mondo, sotto forma di fantasmi, di discorsi e di tutte le violenze che li hanno plasmati e che ora li infestano.
Questo libro è un esorcismo. Si tratta di sogni, di deliri della stessa donna? Di più donne? Ci sono le private, quelle donne che allietano la propria esistenza con la loro stessa immagine, con un uomo o con la maternità, e ci sono le possedute, quelle donne-mostro che si riappropriano violentemente dei loro corpi facendosi carico di quell’infamia che hanno sempre subito.
Le mie impressioni
Parlare di questo libro in modo unitario è quasi impossibile: ciò che trovate al suo interno è la realtà complessa di cosa significa essere donna oggi, tra passato e futuro.
Tantissimi racconti brevi o brevissimi – alcuni di 1 o 2 pagine, altri più lunghi di 5-6 – in cui le donne finalmente prendono parola e confessano i loro segreti più indicibili: le violenze subite, il piacere sessuale, la malattia mentale, la maternità, e poi gli aborti, la vergogna, la depressione, il rapporto con il proprio corpo, gli abusi e la prostituzione.
C’è tanto, tantissimo in questo libro, un contenuto così denso che ti travolge e non può che schiacciarti e costringerti a fare i conti col tuo vissuto, anche con le verità più scomode che risiedono sepolte da qualche parte dentro di te, in quanto donna.
È un libro doloroso, che scava nell’intimità e non lascia indifferenti. Bello, necessario, scritto da una giovanissima autrice esordiente di soli 26 anni.
A pieno titolo rientra tra i miei 5 libri preferiti del 2020 sia a livello di scrittura che di contenuto.
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Maternità (Sheila Heti, Sellerio)
[…] Se invece vivi una vita senza figli, nessuno sa niente del senso che ha quella vita. La gente potrebbe pensare che non ne abbia, che non sia costruita attorno a nessun centro. Il valore della tua vita rimane invisibile […]. Che meraviglia percorrere un sentiero invisibile, dove ciò che conta di più quasi non appare.
La trama
Il desiderio di maternità è un insieme di forze contrastanti che non riguarda solo la procreazione, la famiglia, il padre e la madre, i figli, ma uno spazio emotivo più ampio in cui convivono infelicità e speranza, realizzazione di sé e smarrimento.
Ed è da questo assunto, a tratti paradossale, che scaturisce uno degli sguardi più originali e potenti degli ultimi anni su un tema che suscita prese di posizione sempre più inconciliabili.
In questo racconto che oscilla tra il romanzo autobiografico e il saggio intimo, il pamphlet provocatorio e un’umoristica indagine filosofica, la narratrice Sheila si avvicina ai quarant’anni, e accanto a sé ha la maggioranza delle amiche che sta considerando la possibilità di avere un figlio o già l’ha avuto.
La donna si ritrova a ponderare una scelta che le appare difficilissima, pone a se stessa domande continue e feroci, interroga l’I Ching, si affida al caso beffardo di un lancio di dadi. Il dubbio si insinua come un tarlo, cresce a dismisura, svanisce e ricompare monopolizzando il suo quotidiano, il suo lavoro, la sua relazione sentimentale.
Sheila si informa, parla con medici, amici, parenti, si confronta con il compagno, non arriva mai ad una risoluzione e fatica a trovare una risposta che le sembri giusta, saggia, moralmente accettabile. Soprattutto la sconvolge il destino già scritto in ogni giovane donna, quello di un imperativo culturale e naturale a cui è impossibile sottrarsi.
Heti si aggira in un territorio ostile e poco esplorato, alla ricerca di una nuova maturità come artista e come donna. “Maternità” è un libro tutto giocato sull’ironia e sull’eccentricità del candore. È una disamina della procreazione dal punto di vista etico, sociale e psicologico, è la cronistoria di un’illuminazione esistenziale che si fa strada faticosamente, e insegue, consapevole della difficoltà della sfida, la possibilità di una nuova stesura delle regole della femminilità.
Le mie impressioni
Al pari di “Mal di casa” e “Cagna”, anche questo libro ha dato forma ai miei pensieri in modi che non credevo possibili.
“Maternità” è una lettura e una riflessione necessaria che ogni donna dovrebbe fare, quantomeno come forma di maturazione e consapevolezza, sia che si scelga di procreare, sia che si decida di non farlo.
L’ho trovato illuminato e illuminante, e in fondo mi sono sentita anche un po’ meno sola. Sono grata all’autrice, come lettrice e come donna, di essersi messa a nudo in modo così onesto e vulnerabile, per esprimere qualcosa che avevo sicuramente bisogno di leggere.